Se devo analizzare su me stesso il “perché” del mio andare in montagna, o del generale andare in montagna, devo tornare indietro di più di cinquant’anni ed il ricordare e ricordarmi bambino incantato e poi incatenato dalla maestosità delle pareti, mi porta a pensare a qualcosa di atavico, una strana forza che non apparteneva ai miei genitori e non derivava da loro insegnamenti, ma che arrivava da molto più lontano; era come se avessi ereditato i ricordi dei miei avi, certi luoghi pareva addirittura che li conoscessi già. Non dimenticherò mai lo stupore del veder apparire, dopo l’ultima forcelletta oltre il laghetto del Coldai, la grande parete nord-ovest della Civetta. Ricordo come adesso i contrafforti che fanno da base alle pareti verticali della Punta Civetta e della Torre di Valgrande.